Grande Iddio, come siete buono nel porgermi tanta forza per sollevare gli altri!
L’amore del prossimo è il conforto della vita.
Un amore del prossimo, dolce e soave, è il più bel dono che si possa avere quaggiù da Dio.
Solamente l’uomo caritatevole può pensare all’avvenire con mente serena e con cuore tranquillo.
Quaggiù, come il maggior tormento è odiare il fratello, così la maggiore consolazione è sollevarlo dalle sue miserie.
Perché il profumo della carità ascenda fino al Paradiso, bisogna che prima di dare consacriamo il dono tingendolo nel Sangue delle Piaghe Sacrosante del Redentore.
Passare la vita facendo il bene è la consolazione più cara e la benedizione più eletta che il Signore concede ai suoi figli, perché fare la carità è farla a Dio di cui i poveri sono i figli prediletti.
Per calmare lo sdegno del Padre, uno dei modi più certi è fare il bene ai suoi figli.
Chi dona al povero, presta a Dio e riceve da Dio.
Meglio donare che ricevere: meglio patire che godere!
Perché un incendio di carità non infiamma i cuori nostri? Ah, se almeno fossimo noi eccellenti elemosinieri spirituali! La società sarebbe salva; e noi gloriosi con la società scampata ormai da un abisso di perdizione!
Ai più poveri e ai più derelitti dobbiamo donare non solo affetto di carità ma stima di considerazione, perché più da vicino rappresentano Gesù Cristo.
Se ci vien fatto di fare un’opera di carità, noi la compiamo con quella specie di freddezza infastidita con cui ci leviamo dall’abito un insetto che vi sia caduto. Fare la carità in questo modo non è un atto di amore, ma quasi di egoismo: è toglierci d’attorno un seccatore o una seccatura. Bisogna invece che tutto il nostro essere sia presente e soprattutto sia lieto nel compiere questo atto buono. Bisogna che la carità ci compenetri del tutto e per tutto.
L’istituto deve mostrare con i frutti dello zelo che solo la Carità di Gesù Cristo è tesoro celeste e vera medicina all’infermità umana e provvidenza alle miserie che sempre più ci circondano.