EVENTI, FAMIGLIA GUANELLIANA, GIUBILEO 2025

Pellegrinaggio giubilare a Perugia – Casa Sereni

Annunciatori della Buona Novella: i poveri sono la porta da varcare, non una porta da superare, ma un volto da scoprire, quello di Gesù!

In ogni povero che incontriamo, siamo chiamati a compiere il pellegrinaggio verso Cristo presente nel bisognoso e ricordare il peso della frase: “L’avete fatto a me”.

In questa esperienza giubilare vogliamo “Aprire la porta santa” con gli ultimi, ascoltando la Parola di Dio, conoscendo l’esperienza dei santi e condividendo i luoghi dove vivono i “buoni figli” del don Guanella,  accompagnati dagli educatori del Centro di riabilitazione e da Guanelliani cooperatori che agevolino l’incontro.

Quello che vogliamo proporre invitando singoli e gruppi a questa giornata giubilare è una sorta di “format” che può dar vita a itinerari diversi e in luoghi di servizio diversi, ma con le medesime istanze teologiche-pastorali.

 

PROGRAMMA 24 MAGGIO 2025

Ore 9.00 – Accoglienza

Ore 9.30 – Presentazione della giornata da parte di don Wladimiro Bogoni: “Il significato teologico-pastorale del Giubileo della carità e indicazioni metodologiche”.

  • Prima Meditazione del biblista Fra Giulio Michelini ofm: Matteo 25,31-46
  • Seconda Meditazione del biblista Fra Georges Massinelli ofm: San Francesco e il bacio al lebbroso

Ore 11.00 – Pausa

Ore 11.15 – Incontro con i ragazzi di Casa Sereni nei loro laboratori 

Ore 12.30 – Pranzo self-service (all’esterno)

Ore 14.00- 15.00 -Tavole Sinodali di confronto (in pineta, nel giardino esterno).

Ore 15.00 – Presentazione dei Templari (in Chiesa).

Ore 15.30 – S. Messa prefestiva presieduta dall’Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve S. E. Mons. Ivan Maffeis, con la presenza di don Umberto Brugnoni, Superiore Generale dell’Opera Don Guanella.

Ore 17.00 – Partenza per Roma.

Gruppi che parteciperanno all’Evento:

  • Gruppo locale dei Cooperatori di Perugia-Montebello
  • Gruppi pastorali della 17^Unità pastorale di Perugia-Montebello
  • Gruppo di studenti di Teologia del Seminario Teologico internazionale dell’Opera don Guanella di Roma.
  • Gruppo dell’Associazione: “Imparare Roma per abbracciare il mondo” che, dopo aver accolto le grazie giubilari a Santa Maria Maggiore per riscoprire le radici della fede cristiana (Il mistero dell’Incarnazione) e dopo essere stati afferrati da Cristo come Paolo di Tarso, nella visita alla Basilica di San Paolo, “quando fui afferrato da Cristo” (Fil 3,12), si ritrova nel Centro Sereni a Perugia per rendersi sempre più capace di varcare ogni giorno la porta “del povero”.
  • Gruppi della Diocesi (Previa prenotazione)
  • L’invito è rivolto anche ai  guanelliani cooperatori di altre comunità e alle nostre Suore, Figlie di Santa Maria della Provvidenza.

I POVERI SONO LA NOSTRA "PORTA SANTA"

A cura di Wladimiro Bogoni SdC

L’idea dell’itinerario/pellegrinaggio che trovate descritta in queste poche pagine, nasce da due Documenti del Magistero: il primo è la Bolla di indizione del Giubileo del Giubileo Ordinario 2025 di papa Francesco Spes non confundit, (Rm 5,5); il secondo è la lettera Pastorale: “Sentieri di Speranza” dell’Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, S.E. Mons. Ivan Maffeis.

Nel Documento Giubilare, tra i “luoghi” di pellegrinaggio il papa ci invita a varcare la porta della persona nel bisogno, del povero, di quanti sono in attesa di un gesto di carità. Le 14 porte delle opere di misericordia materiali e spirituali si aprono quando scorgiamo nel volto dei nostri fratelli, in particolare nei poveri, nei malati, nei carcerati, nei profughi, la carne viva del Cristo sofferente, l’immagine visibile del Dio invisibile. Come è possibile che Gesù si identifichi con ogni povero e che il suo volto diventi “porta d’indulgenza giubilare”? Una domanda a cui cercheremo di rispondere per aiutare chi ci legge a trasformarla in proposte pastorali, itinerari di fede, pellegrinaggi e percorsi di santità e di salute corporali e spirituali che non dovranno esaurirsi con la chiusura dell’anno giubilare, nel gennaio 2026, ma continuare nel tempo perché – come ci ricorda il n° 9 delle nostre Costituzioni – “ tutta la nostra esperienza di fede e di servizio ha come centro la carità, vissuta nell’abbandono filiale verso Dio e nella misericordia evangelica verso i poveri. Questo spirito è per noi l’eredità più preziosa lasciataci dal Fondatore […], caratteristica specifica della nostra presenza nella Chiesa”Varcare la porta di una chiesa giubilare è facile; meno facile saper vedere il Volto di Gesù sotto il volto del povero. Questa è la sfida che vogliamo raccogliere dagli espliciti inviti di papa Francesco e preparare un “cammino della carità” che si celebrerà il 24 maggio 2025 nella Casa Sereni dell’Opera don Guanella di Perugia.

Quando l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve S.E. Mons Ivan Maffeis nella lettera Pastorale, “Sentieri di Speranza”, ha individuato e scelto come giubilare, assieme ad altre nove, anche la Chiesa dell’Opera don Guanella a Perugia Montebello1, ha piacevolmente sorpreso la comunità religiosa dei Padri guanelliani, la quale si è interrogata sul perché di questa scelta e su come trasformarla in “narrazione di misericordia”, non limitandosi solo a intensificare le proposte di celebrazioni: adorazioni, confessioni e direzione spirituale, ma ha impegnato i confratelli ad annunciare la Buona Novella che i poveri, sono una porta da varcare per ottenere il dono dell’indulgenza.2

La porta santa che il Papa ha aperto la notte di Natale nella basilica Vaticana è il segno del varco salvifico aperto da Cristo con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti a vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. Quest’ anno però il papa ha voluto che, nelle numerose novità proposte, ci fosse anche l’apertura di una Porta Santa in carcere. Infatti il 26 dicembre 2024, giorno di Santo Stefano, Papa Francesco aprendo la Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia, ha segnato un momento storico nel cammino dei Giubilei ordinari perché la Bolla Giubilare Spes non confundit, composta da 25 numeri, contiene più di un terzo dei suoi numeri, precisamente dal n° 7 al n° 15, legati al tema della giustizia sociale, radice della nascita del Giubileo. L’originalità propria della Bolla di Indizione del Giubileo ordinario, è consistita propriamente nella presentazione dell’evento giubilare nell’unità fondamentale di annuncio e segni che ne rendono evidente e concreto il contenuto. La comunità cristiana, e in particolare quella guanelliana, per il carisma che la contraddistingue, ha il dovere di seminare, coltivare, curare e inventarsi segni di speranza verso coloro che si trovano a vivere situazioni di disagio, povertà e abbandono. Questo compito così importante deve essere vissuto con l’accompagnamento di esperti che ne approfondiscano sia l’aspetto teologico che quello pastorale, per facilitare la riscoperta del Volto di Gesù sotto il volto del povero per cogliere il “Kairos di Salvezza.

A questo punto, mi pare sia chiaro e anche doveroso, in questo anno giubilare, che le comunità religiose maschili e femminili, assieme alla grande famiglia dei Guanelliani Cooperatori laici, non si limitino solo a prestare servizi di carità e di solidarietà o a gestire ruoli di responsabilità e amministratori di una buona carta dei servizi, in linea con le norme della società civile – come già sanno fare bene – ma devono sentire l’urgenza di annunciare la Buona Novella che i poveri sono una porta da varcare e dove si può scoprire il volto di Gesù.

La grande famiglia guanelliana è chiamata dunque a educare e insieme ad accompagnare le persone che la Provvidenza affiderà loro, a “compiere un pellegrinaggio verso Cristo presente nei poveri (cfr. Mt 25, 34-36). Noi guanelliani dovremmo riuscire a trasmettere il peso della frase: “L’avete fatto a me”. Cosa vuol dire? Vuol dire che quando siamo davanti all’altro è come se fossimo davanti a Dio. Significa che l’Eterno è entrato nel tempo attraverso il mistero dell’Incarnazione e che abbiamo il dovere di insegnare a cogliere le tracce dell’Eterno sotto ogni infermità. Troppo facile, molto comodo varcare una porta, recitare “quattro preghiere di rito”, anche farsi un selfie di ricordo. La fatica e la sfida è aprire la porta di casa del povero e “entrarvi”, “abitare” il luogo dove il povero vive; percepirlo nella “sacramentalità” del suo corpo, della sua persona.

Uso il termine sacramentalità nel suo significato più leggero e meno impegnativo del termine, strettamente legato al significato liturgicosacramentario. “Sacramentalità” come necessaria visione della vita del mondo, del creato che ogni cristiano deve avere, che non è altro che il vedere la realtà creata come un sacramento che è, a sua volta, una rivelazione della presenza di Dio.

I guanelliani sapranno essere buoni “operatori della misericordia” se anche “pellegrini di Dio nel cuore del povero,” di ogni pover’uomo.

Il giubileo chiede di mettersi in cammino e di superare alcuni confini. Quando ci muoviamo, infatti, non cambiamo solamente un luogo, ma trasformiamo noi stessi per diventare capaci di cambiamento e per essere in grado di varcare ogni giorno la porta di ogni povero, che il Signore ci mette sul nostro cammino. Don Guanella in tutta la sua vita è stato un uomo che ogni giorno si è messo in viaggio verso gli altri, ben consapevole della lunghezza e delle difficoltà del cammino. Per Don Luigi Guanella i poveri erano una manifestazione concreta di Gesù Cristo. La sua spiritualità era profondamente radicata nel Vangelo, in particolare nelle parole di Gesù: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:40). Questa convinzione lo guidava a vedere il volto di Cristo in ogni persona emarginata, abbandonata o bisognosa. Don Guanella credeva che prendersi cura dei poveri significasse servire direttamente Dio.

“La Provvidenza gli donò un cuore grande, a dimensioni di mondo, dolce ed impulsivo insieme, capace di essere ‘padre e madre’ per i deboli, organizzatore sveglio di programmi di soccorso; in questa maniera visse il vangelo della misericordia in modo eroico e i poveri trovarono in lui pane, tetto, lavoro, dignità, speranza e particolarmente paradiso”.3

3 Congregazione dei Servi, Via di virtù e santità. Commento alle Costituzioni Roma 2012, pag. 92

Il programma della sua vita è stato quello di collaborare con Dio per rendere più ospitale la terra ai poveri e agli infelici. Mentre sviluppava questo programma che la Provvidenza gli aveva indicato, lui stesso diventava sempre più uomo di comunione. Il povero diventava il suo maestro, a tal punto che alla fine era riuscito a trasformarlo in un “prete buono più del pane…4 Il suo passaggio sulla terra fu un dono continuo che moltiplicava ancora l’amore di Dio in mezzo agli uomini e tutta la sua vita fu dedicata alla carità, perché gli uomini si amassero dando gloria al Padre che sta nei cieli.5Una carità talmente forte che lo spingeva ad accogliere chiunque si ritrovasse rifiutato da tutti6.Don Guanella aveva sempre premure e attenzioni paterne verso chiunque incontrasse bisognoso o afflitto sul suo cammino.7Possedeva una conoscenza profonda delle persone, intuito sicuro delle loro capacità, del loro valore e della loro bontà;8 indovinava inoltre, i loro bisogni e le loro difficoltà9. Pur possedendo un carattere forte e deciso, Don Guanella si adattava volentieri anche alle debolezze delle persone, quando non si trattava di difetti da correggere. Ripeteva spesso che ogni persona va presa per il suo verso: qualcuno va preso per le orecchie, qualche altro per la gola; nessuno va preso per il naso e tanto meno per il collo, in modo che tutti facciano volentieri il bene nella Casa di Dio.10Egli possedeva una carità capace di illuminare: le sue parole, se da un lato ridavano fiducia e serenità, 11dall’altro avevano la capacità di lasciare il seme dell’inquietudine col pensiero che non si può essere felici da soli.12 “Era testardo, anche se buono. Quando voleva qualcosa, non si arrendeva finché non l’aveva ottenuta…Era molto forte, non si stancava mai. Ha insegnato ad avere fede e ad amare gli altri; e che la cosa più importante era rispettare la dignità di un uomo. Una volta vennero a prenderlo due guardie per certi debiti. Gli chiesero: “Cosa accadrà?”. “Niente” rispose. “Non possono portarmi via niente, perché non ho niente. E non mi metteranno in prigione, sennò chi pensa ai miei ammalati?”13. Un uomo capace di ricondurre l’incorporeo nel corporeo:

4 C.Lapucci , op.cit pag.182

5 C.Lapucci , op.cit pag.183

6 C.Lapucci , op.cit pag.82

7 C.Lapucci ,op.cit pag.76; 141

8 C.Lapucci ,op.cit pag.92

9 C.Lapucci ,op.cig pag.88

10 C.Lapucci ,op.cit pag.128

11 C.Lapucci , op.cit pag.140

12 C.Lapucci , op.cit pag.29

13 Da un’intervista alla nipote Elvira Sterlocchi, Alba 25/11/1988, pag.30

ascoltare i battiti del proprio cuore, respirare l’odore della terra, del vento immenso, il profumo dei fiori delle sue montagne, ma capace soprattutto di vedere nell’uomo, il volto del Cristo.

Ora partiamo da una pagina importante che resta nello sfondo costante della salvezza dell’umanità intera.

La pagina è tratta dal Vangelo di Matteo 25,31-46 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”.

Il brano splendido e unico, è una sintesi della teologia di Matteo. Alla fine della nostra vita saremo giudicati in base a ciò che ci saremo fatti l’un l’altro. Non sapevamo che il bene operato e il male compiuto si riferivano ad una realtà invisibile superante l’atto stesso e che quella realtà altro non era che la persona di Gesù! Sì perché ogni altro, è sempre l’Altro! Infatti il primo comandamento è uguale al secondo, perché il Signore stesso si è fatto nostro prossimo ed è

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sempre con noi sotto il segno del Figlio dell’uomo: quello del Crocefisso, che ha il volto di tutti i poveri della terra.

Nella prospettiva cristiana, il giudizio universale è il momento in cui ogni essere umano viene valutato per le sue azioni e la sua capacità di amare e servire Dio attraverso il prossimo. In questo senso, l’uomo diventa davvero l’unità di misura del giudizio: ciò che conta è come ha vissuto la sua umanità, il rispetto per gli altri e l’adesione ai valori del Vangelo. Per capire quanto sia fondamentale questo principio mi servo di un racconto dal titolo: “Puzzle

Durante l’assenza della moglie, un importante uomo d’affari dovette rimanere in casa per badare ai due scatenatissimi bambini. Aveva un importante pratica da sbrigare, ma i due piccoli non lo lasciavano in pace un istante. Cercò così di inventare un gioco che li tenesse occupati per un po’ di tempo. Prese da una rivista una carta geografica che rappresentava il mondo intero, una carta complicatissima per i colori dei vari stati. Con le forbici la tagliò in pezzi minutissimi che diede ai bambini, sfidandoli a ricomporre il disegno del mondo. Pensava che quel puzzle improvvisato li avrebbe tenuti occupati per qualche ora.

Un quarto d’ora dopo, i due bambini arrivarono trionfanti con il puzzle perfettamente ricomposto. “Ma come avete fatto a finire così in fretta?”, chiese il padre meravigliato.

“È stato facile!”, rispose il grandicello. “Sul rovescio c’era la figura di un uomo. Noi ci siamo concentrati su questa figura e, dall’altra parte, il mondo si è messo a posto da solo.”

Tutto si mette a posto se si parte dall’uomo perché è lui il centro dell’universo in quanto creatura di Dio. Questo pensiero si lega profondamente anche alla pedagogia del nostro Fondatore, che vedeva nella dignità e nei bisogni dell’uomo il punto di partenza per ogni azione di carità e giustizia.

Don Guanella riteneva che la società e il mondo avessero senso solo se si poneva l’essere umano, con le sue necessità e fragilità, come punto di riferimento. In un certo senso, ordinare il mondo significa restituire valore a ogni individuo, iniziando dal più vulnerabile, perché nel volto del povero si riflette quello di Cristo. Questo approccio non riguarda solo la carità materiale, ma anche la comprensione, l’amore e il rispetto per ogni persona.

Tuttavia è quel “quando mai Signore” che ci mette in crisi, che non ci lascia tranquilli perché non siamo riusciti a riconoscere Gesù nel povero. Perché ci sei sfuggito, Signore? Perché sei sempre sotto i vestiti di un perfetto sconosciuto?

 

Eppure è su questo, che alla fine dei nostri giorni, saremo giudicati. Questo è l’esame definitivo non solo della vera vita cristiana, ma di tutta l’umanità: abbiamo accolto l’estraneo, frequentato il prigioniero, dato l’ospitalità all’altro? (Mt. 25,35-36).

[…] Dietro tutto questo c’è qualcosa di più grande e sconcertante, ma di fondamentale per la fede cristiana ed è il principio dell’Incarnazione.

“È partendo da Cristo che “l’altro” diventa mio prossimo. Da Cristo l’amore riceve la sua possibilità interiore e la sua direzione.” Così rispondeva Joseph Ratzinger al giornalista della “Settimana del clero” 1973.14

Il Vaticano II con chiarezza definisce che: “Solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo, […] Cristo che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione.” (GS n.22) “Ciò significa – commenta Giovanni Marchesi nei suoi lineamenti di Cristologia15 – che la discesa di Dio nell’umanità (=Incarnazione) è il fondamento e la garanzia dell’ascesa dell’uomo, in sé stesso e verso Dio, ossia la sua piena realizzazione storica e futura (salvezza escatologica)”. Il teologo spiega ancora che: “L’incarnazione del Verbo di Dio, verità originaria e fondamentale del dato cristiano, è il punto di partenza di ogni teologia cristiana. “Per il fatto che Dio si è fatto carne, lo stesso uomo – per sua natura essere storico dotato di ragione e di libertà ed essere di linguaggio – diventa “espressione valida e autentica traduzione del mistero divino”; e “volendo il Verbo di Dio raggiungere l’umanità tutta, che deriva dalla volontà creatrice di Dio, nulla di umano gli rimane estraneo”, ma tutto l’umano assunto dalla Persona del Verbo diventa, lo ripetiamo, espressione diretta e autentica del divino. Per questo si può anche affermare che “tutto ciò che Dio doveva dire o dare al mondo ha trovato spazio in questo uomo che è Gesù, il quale è la Parola che vive e agisce, parla e soffre nell’uomo che è diventato pur restando Dio16.

14 Joseph Ratzinger, Opera Omnia, In dialogo col proprio tempo vol.13/3, Interviste scelte e inedite, LEV 2024 pag.25.

15 Giovanni Marchesi: Gesù di Nazareth chi sei? Lineamenti di Cristologia, San Paolo 2004, pag9

16 Op.cit. pag. 428

 

NEL CUORE DI OGNI CRISTIANO GESU’ È IL CENTRO

Il Giubileo ci invita a riscoprire la centralità del volto di Cristo e, il Papa stesso, il 28 novembre 2024, ha ribadito questa centralità con i partecipanti dell’Assemblea Plenaria della Commissione Teologica Internazionale. Durante questo Anno Santo, inoltre, avremo anche l’occasione di celebrare la ricorrenza dei 1700 anni del primo grande Concilio Ecumenico, quello di Nicea. Questo Concilio costituisce una pietra miliare nel cammino della Chiesa e anche dell’intera umanità, perché la fede in Gesù, Figlio di Dio fatto carne per noi e per la nostra salvezza, è stata formulata e professata come luce che illumina il significato della realtà e il destino di tutta la storia. Il Concilio di Nicea, affermando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, mette in luce qualcosa di essenziale: in Gesù possiamo conoscere il volto di Dio e, allo stesso tempo, anche il volto dell’uomo, scoprendoci figli nel Figlio e fratelli tra di noi. Una fraternità, quella radicata in Cristo, che diventa per noi un compito etico fondamentale. È importante, allora, che abbiate a lavorare su un documento che vuole illustrare il significato attuale della fede professata a Nicea. Tale documento potrà essere prezioso, nel corso dell’anno giubilare, per nutrire e approfondire la fede dei credenti e, a partire dalla figura di Gesù, offrire anche spunti e riflessioni utili a un nuovo paradigma culturale e sociale, ispirato proprio all’umanità di Cristo. Oggi, infatti, in un mondo complesso e spesso polarizzato, tragicamente segnato da conflitti e violenze, l’amore di Dio che si rivela in Cristo e ci viene donato nello Spirito diventa un appello rivolto a tutti, perché impariamo a camminare nella fraternità e a essere costruttori di giustizia e di pace. Solo in questo modo possiamo spargere semi di speranza là dove viviamo. Rimettere Cristo al centro significa riaccendere la speranza!

SULLE ORME DI SAN LUIGI GUANELLA: “UOMO DI SPERANZA E… DI… PARADISO… DI PANE E SIGNORE” PER RIMETTERE CRISTO AL CENTRO

Come pellegrini seguiamo le orme di don Guanella, che ci indica la strada, la compagnia, il nutrimento per dare forza al nostro cammino, la mèta.

Poche cose, ma essenziali per il cammino di fede e che non siano d’intralcio al suo procedere, perché il passo possa essere sicuro nel raggiungere la meta. La strada.

Don Guanella esprime nella formula paradigmatica, Pane e Signore, il senso di come dev’essere intesa per noi guanelliani, la carità verso il prossimo.

 

Riporto qui le sue parole: “Si consideri la fragilità umana e la carità divina. Vi è il pane della carità corporale e quello della carità spirituale.”17 Binomio inscindibile “Pane e Signore”3 perché all’uomo occorre un pane per il corpo e uno per lo spirito4. “Pane e Signore” per indicare le due dimensioni su cui si dispongono i valori fondamentali dell’autentica crescita personale. «Pane»: sta per tutto ciò che è necessario per sostenere l’espansione della persona sotto il profilo fisico, psichico, morale, sociale, culturale, politico… «Signore»: sintetizza la crescita misteriosa della vita di grazia come nuova creatura nello Spirito di Gesù Cristo.

In compagnia dei piccoli, degli ultimi, dei deboli.

“Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli, mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro” (1 Cor. 9,22). “I Guanelliani vivano in compagnia dei poveri come educatori alla fede, perché insieme a loro possano incontrare Cristo e fare esperienza della sua salvezza” (art.n°71 delle Costituzioni)

La mèta.

Il traguardo è il paradisoAccompagnati dal Vangelo della misericordia i guanelliani portino al povero i doni di Gesù, con la ricchezza umana e le inebrianti novità della Sua Rivelazione e della sua Grazia. Il Vangelo mostra come Cristo guariva i corpi per sanare le anime, ridonava la salute al corpo perché si comprendesse quanto fosse necessaria quella dell’anima.

Mi piace chiudere questa riflessione con il numero 80 delle Costituzione dei Servi della carità e il suo relativo commento:18

Tutto il mondo è patria vostra, ci dice il Fondatore, e i vostri confini sono i confini del mondo. Obbedite alle vie della Provvidenza affidandovi ad essa e affrettatevi, perché avete una missione troppo grande da compiere. Nella vigna del Signore lavorate tutti di gusto; lavorate e pregate, portando sempre il bene della fede e della carità, senza temere il mondo: Gesù è con voi, e vostra Madre, la Madonna Santa, vi conduce1.E voi, buoni Servi della Carità, che per

17 Massime di spirito 1888-89, Scritti, vol. IV, p. 41

3 P II 454.785; Circ. 20 ott. 1913, Scritti, vol. IV, p. 1411.

4 DLG, Andiamo al Padre, Scritti, vol. IV, p. 143.

18 Congregazione dei Servi, Via di virtù e santità. Commento alle Costituzioni Roma 2012, pag. 623

1 VM 1913, Scritti, vol. IV, p. 764.765.766.788

 

anni e ogni giorno avrete soccorso con fede i poveri, possederete il Regno che il Signore nella sua bontà vi ha preparato fin dalla creazione del mondo”2.

A sintesi della missione per la quale esistiamo, il testo pone le istanze più vive del Fondatore. Quasi per esprimere la consapevolezza di trovarsi tra le mani una missione troppo grande per poterla enunciare adeguatamente, chiama in sostegno il Fondatore medesimo, perché dica lui stesso, con il suo fuoco, il suo dono, il suo cuore santo, quali erano per lui e quali devono permanere per noi le intenzioni genuine dello Spirito. Questa è la ragione di un articolo totalmente costruito come «memoria» di parole che già sappiamo e riconosciamo tra mille, cariche di risonanza inconfondibile.19

La carità senza confini di don Guanella nutre la speranza del povero che Dio si cura di lui…ogni giorno!

Nel futuro tutto è possibile perché tutto è incerto; tuttavia la speranza può avere fondamento solo in una Grande Speranza, cioè credere in una Provvidenza divina che garantisce all’uomo la capacità di sorridere ogni giorno alla vita. Vita che si costruisce sulla possibilità di azione del futuro, che riapre ogni orizzonte nonostante le sue incertezze esistenziali, solo perché nutrita dalla speranza che suscita gioia, slancio e calore. La speranza è dono, è Grazia, è il frutto più bello della carità, e noi nutriamo speranza perché siamo certi che Dio si cura di noi. Non a caso, “In tua providentia nostra spes,” è il motto della Congregazione delle Figlie di S. Maria della Provvidenza che sottolinea che la speranza è una virtù guanelliana perché sperare è vivere totalmente abbandonati nelle braccia del Padre. Questa è la forza del nostro Fondatore e dei suoi figli spirituali!

 

Ballate come se nessuno vi guardasse

Per tanto tempo ho avuto la sensazione che la vita sarebbe presto cominciata, la vera vita! Ma c’erano sempre ostacoli da superare, strada facendo qualcosa di irrisolto, un affare che richiedeva ancora tempo, dei debiti che non erano stati ancora regolati, in seguito la vita sarebbe cominciata. Finalmente ho capito che questi ostacoli erano la mia vita. Questo modo di percepire le cose mi ha aiutato a capire che non c’è un mezzo per essere felici, ma che la felicità è un mezzo. Di conseguenza, gustate ogni istante della vostra vita, e gustatelo ancora di più

2 R 1910, Scritti, vol. IV, p. 1233.

19 Congregazione dei Servi, Via di virtù e santità. Commento alle Costituzioni Roma 2012, pag. 623

 

perché lo potete dividere con una persona cara, una persona molto cara per passare insieme dei momenti preziosi della vita, e ricordatevi che il tempo non aspetta nessuno. E allora smettete di pensare di finire la scuola, di tornare a scuola, di perdere 5 chili, di prendere 5 chili, di avere dei figli, di vederli andare via di casa. Smettete di aspettare di cominciare a lavorare, di andare in pensione, di sposarvi, di divorziare. Smettete di aspettare il venerdì sera, la domenica mattina, di avere una nuova macchina o una casa nuova. Smettete di aspettare la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno. Smettete di aspettare di lasciare questa vita, di rinascere nuovamente, e decidete che non c’è momento migliore per essere felici che il momento presente. La felicità e le gioie della vita non sono delle mete, ma un viaggio. Lavorate come se non aveste bisogno di soldi. Amate come se non doveste mai soffrire. Ballate come se nessuno vi guardasse (Alfred Souza).